Tahirih

Clara EDGE
casa editrice Bahà’ì
Tahirih
Copyright 1998 – Casa Editrice Bahà’ì
titolo orignale: “Tahirih”
1^ edizione 1998
ISBN 88-7214-044-7
pag. 193

INTRODUZIONE

Virginia Wolf ha scritto che quand’anche Shakespeare avesse avuto una sorella più geniale di lui, non se ne sarebbe accorto nessuno: la sua personalità non avrebbe potuto realizzarsi a causa delle “tradizionali” (è questa una parola che troveremo spesso nel testo) condizioni di ignoranza e inferiorità nelle quali erano tenute le donne.

fra i pochi esempi in decine di secoli, di voci femminili che siano riuscite, superando questo handicap, a farsi ascoltare dal mondo, si levano, nella Persia dell’Ottocento i versi di Tàhirih.

Purtroppo non è in questo contesto che possiamo conoscere la sua arte: alla generale difficoltà del rendere in lingua occidentale la ricchezza e la melodiosità della poesia orientale, si aggiunge la circostanza di leggere un “traduttor del traduttor”, sia pure senza le pretese dell’illustre precedessore.

Del resto alla base del libro della Edge, non c’è la poesia di Tàhirih, testimoniata solo da qualche sprazzo che ci lascia desiderosi di conoscere di più, bensì la sua concezione, nuova e rivoluzionaria, dell’uguaglianza spirituale fra uomini e donne, e quindi, date le condizioni di queste, della loro emancipazione.

E’la prima volta che questo concetto viene espresso e il valore sul piano etico del messaggio di Tàhirih è ancor più ingigantito dall’essere conquista interamente sua, scaturita dall’analisi delle proprie esperienze e non elaborazione di pensieri precedenti: la sua passione per il sapere è premiata con la possibilità di studiare, che la porta ad un livello culturale pari o superiore agli uomini più eruditi che conosce; incontra per questo l’ostilità e la reazione di alcuni e, ancor peggio, dagli altri un plauso parziale, mescolato all’invito a rassegnarsi, a restare nel “normale”; riesce invece, da sola, senza alcun supporto o guida nella cultura dell’epoca, a liberarsi dal condizionamento dell’educazione tradizionale e a portare il proprio pensiero al di sopra di concezioni radicate da secoli. La contemporaneità (siamo intorno al 1840) del messaggio di Tàhirih con, ad esempio, gli atteggiamenti provocatori e le prime opere di George Sand, non deve trarre in inganno, è solo casuale: non c’è alcun contatto fra i due mondi che, separati fisicamente dall’Impero Ottomano e spiritualmente dai diversi credi, sono culturalmente lontani di secoli. In Europa si sono avuti i lumi, si sono visti i salotti delle Madame de Stael, l’intelligenza di “alcune” donne è ormai un fatto riconosciuto, un dato acquisito. E la Persia? La Edge ce la descrive come “uno stato teocratico sul quale il clero, tutt’altro che progressista, aveva gradualmente usurpato tutto il potere e… usava ogni mezzo per raggiungere i propri fini, spesso tutt’altro che nobili”. Queste parole ci sono familiari, ci ricordano gli articoli sui vari Ayatollah; volevano essere la storia di ieri, ma sono anche la cronaca di oggi: sono passati centocinquant’anni e non è cambiato niente; gli eventi storici non hanno avuto conseguenze, si sono smorzati come le onde che fa il sasso in uno stagno: a questo punto il nostro pensiero corre indietro e ci chiediamo per quanti secoli prima possa essere durato tutto questo “uguale”e solo adesso possiamo capire appieno (ma ci sembra incredibile!) tutta l’originalità, la rivoluzione dell’idea di Tàhirih e della sua campagna per l’emancipazione della donna, per ripetere nelle sue sorelle quanto l’educazione ha fatto in lei. Ma ciò che stacca sostanzialmente il suo messaggio da quelli similari della cultura europea è il diverso piano di valori che si considerano: Tàhirih intende l’emancipazione in senso spirituale ed è quindi radicale, totale; parte dall’assioma dell’uguaglianza tra uomo e donna di fronte a Dio e intende far entrare questo concetto nelle coscienze, farlo radicare fino a diventare il punto di partenza di una nuova concezione della vita: allora ne deriveranno come semplici corollari, come automatiche conseguenze, anche gli aspetti sociali, economici e politici dell’uguaglianza, che invece sembrano il fulcro della questione alle suffragette del mondo occidentale. L’Assioma di partenza porta fatalmente Tàhirih a confrontarsi con la religione del padre, fino ad arrivare alla domanda fondamentale, più un’accusa che una domanda, che in termini più generali, è valida ancor oggi e non solo verso l’Islam. Come è possibile per chiunque, rabbino, mullah o Padre della Chiesa, professare di credere in un Dio infinitamente buono e giusto, e nello stesso tempo crederLO capace di aver creato una parte dell’umanità superiore all’altra? Come non vedere in questo la negazione stessa della religione, la logica dell’egoismo dal momento che gli inferiori sono sempre gli “altri”, donne, infedeli o gentili che siano? Come può una religione che pretende di trasmettere il Verbo di Dio, non avere una posizione costante nel tempo, decisa ed esplicita contro ogni discriminazione fra i Suoi figli? La fede di Tàhirih non può più realizzarsi in una religione che, inariditasi in tradizioni, originate forse da necessità antiche ma ormai obsolete, permette di fatto la discriminazione della donna. Ecco il cammino di Tàhirih incrociarsi con il sorgere della Fede Bahà’ì, ecco la sua idea trovare un’esatta collocazione nella predicazione di un nuovo concetto di vita. Non è certo casuale questo incontro, questa contemporaneità. La nuova Parola e le nuove idee di Tàhirih hanno le stesse cause, la stessa radice. Si è detto delle condizioni delle Persia. L’illusione di ogni teocrazia è che trasformando la Parola in codice ed esigendone il rispetto con la forza, si arrivi al trionfo della religione: è allora, invece, che l’attuazione della forma viene a prevalere sulla sostanza, l’attenzione al rito esteriore fa dimenticare il motivo del rito. Invece che al trionfo, si arriva alla morte della religione; ne resta solo un simulacro vuoto perché da essa si è allontanata la Fede, la qualità più alta dell’uomo, il ponte verso Dio. Ma la Fede è anche un bisogno per l’uomo: per questo l’esigenza profonda di Tàhirih di qualcosa di nuovo in cui credere è comune a molti altri, a tutti gli spiriti capaci di interrogarsi sul valore delle cose, di rifiutare, se insoddisfatti i valori “tradizionali”e di cercare, anche lontano, una vera ragione di vita. “Ogni volta che la gente è pronta a riceverla”, dice Tàhirih “viene data una guida”: in Persia viene annunciata una Parola nuova, un insegnamento che predica la rivelazione progressiva perché se Dio è immutabile, cambiano gli uomini e ciò che possono capire, che dichiara in modo esplicito (forse anche per l’influsso di Tàhirih) l’uguaglianza tra uomo e donna, nell’ambito più generale dell’uguaglianza di tutti i viventi, senza alcuna distinzione. Tàhirih ne è conquistata perché vi trova tutto il suo pensiero, tutti i suoi ideali, e con la forza della sua grande personalità, ingigantita dalla fede, dedica all’apostolato la propria vita. Una vita purtroppo breve, spezzata come spesso succede a chi predica verità che scuotono le coscienze perché queste spesso non vogliono essere scosse, quasi fossero soggette ad una forza d’inerzia che tende a conservare un insieme di preconcetti stabiliti da altri, assorbiti con l’educazione e l’imitazione e accettati come modelli indiscutibili di comportamento. E’così comodo, infatti, lasciarsi portare dalla placida corrente fra due argini ben precisi che dividono nettamente dentro e fuori, bene e male, senza chiedersi quando, dove, perchè, sono stati eretti! I vari Taqì possono sentirsi virtuosi, sicuri delle proprie scelte. Guai a chi, come Tàhirih, sia pure con parole dolci e pacate, turba la tranquilla sicurezza del loro mondo con la tensione del dubbio, e forse del rimorso, provocata da una nuova idea che obbliga le coscienze ad interrogarsi. C’è il pericolo, guardando in fondo all’anima, di arrivare a vedere che sotto l’orgoglio, sotto l’alta considerazione di se stessi, c’è solo una ottusa ignavia e allora scatta il meccanismo di difesa, l’impulso ad eliminare subito, ad ogni costo, la nuova idea. Ma non si può sfogare l’odio, la frustrazione sull’immateriale e allora si ricorre all’esorcismo di distruggere dei simboli e si bruciano i libri o le streghe. Così anche Tàhirih muore, ennesima vittima della combinazione distruttrice di stupidità e certezza. L’assurda facilità con cui viene “giustiziata” è il tocco finale per farci capire la precarietà dell’ambiente in cui ha svolto la sua missione l’intera vicenda, così semplice e lineare nel racconto della Edge, ci sembra irreale, una volta collocata nel tempo e nello spazio: solo in un modo possiamo credere che abbia potuto concepire e trasmettere il suo pensiero quando tutto le era di ostacolo ed ogni ostacolo insormontabile, cioè accettandola come uno di quei rari spiriti eletti, attraverso i quali Dio vuole “del creator suo spirito più vasta orma stampar”.

In questa chiave va ascoltata il suo messaggio.

Ing. FERDINANDO CAMPIONI